Cirinnà una legge a metà.
L’approvazione della legge sulle unioni civili rappresenta, per il nostro paese, un passo avanti, andando a colmare un vuoto francamente imbarazzante che ci vedeva come fanalino di coda nell’Unione europea.
Andrebbero però lasciati a margine toni trionfalistici che appaiono fuori luogo mentre sarebbe il caso, secondo noi, di dare una lettura critica del testo, considerando anche il fatto che una parte della comunità GLBTQ italiana, e non solo, è lontana dalle manifestazioni di entusiasmo che accompagnano Monica Cirinnà ad ogni sua presentazione. La legge approvata rappresenta il frutto di una serie di compromessi al ribasso, ai quali ci si è dovuti adattare per poter ottenere un riconoscimento giuridico delle coppie di persone dello stesso sesso.
Tante sono le zone d’ombra che non possono, né devono, essere sottaciute che qui proviamo ad elencare:
1. La legge 76 del 2016 classifica le unioni fra persone dello stesso sesso come unioni affettive di “serie B”; le persone che si uniscono civilmente non sono infatti una “famiglia” ma vengono definite come una “formazione sociale specifica”. Lo dice espressamente la legge 76 in apertura e lo conferma in ogni sua parte, in cui con chirurgica precisione è stato espunto qualsiasi riferimento alla nozione di famiglia o a norme che ad essa si riferiscono (si vedano, ad esempio, gli articolo 143, il 144 e il 145 del codice civile, che regolano la vita familiare di chi si unisca in matrimonio).
Anche dopo la legge Cirinnà, dunque, la famiglia è e resta quella formata da un uomo e una donna, basata sul matrimonio, così come la diversità di sesso era, e resta, un requisito per accedere al matrimonio.
La creazione di un doppio binario in cui le persone omosessuali sono in posizione deteriore è stata una scelta politica, dettata dalla volontà di non “offendere” le sensibilità di parte del mondo cattolico, anche se, e lo sappiamo bene, la Costituzione nulla dice a riguardo. La Costituzione parla infatti della famiglia come della “società naturale” fondata sul matrimonio; ma nulla dice sulla diversità di sesso come requisito per accedere al matrimonio. Né può ritenersi che sia l’espressione “naturale” ad escludere le coppie omosessuali, posto che l’orientamento sessuale omosessuale è “naturale” esattamente come quello eterosessuale.
La legge Cirinnà ci dice anche che la tutela delle unioni civili fra due persone dello stesso sesso non si basa sulla norma della Costituzione che riguarda il matrimonio (art. 29) ma su quella che riconosce le formazioni sociali (cioè l’art. 2). Questa scelta non può che sembrare denigratoria e svalutativa delle famiglie che si fondano su legami omosessuali, in quanto le equipara a generiche formazioni sociali (come le associazioni, ma anche la scuola, il carcere, gli ospedali), escludendole dalla nozione di famiglia.
2. La legge 76 ha anche cancellato il riferimento alle norme del codice civile che riguardano il rapporto fra genitori e figli (147 e 148), di fatto “cancellando” giuridicamente oltre che simbolicamente le famiglie arcobaleno. Senza alcuna tutela, i bambini arcobaleno rischiano di subire un trattamento discriminatorio in ragione di una condizione dei propri genitori, aspetto ancor più paradossale.
Neanche il riferimento all’adozione del figlio del coniuge o del partner (cosiddetta step-child adoption), che pure i giudici da anni avevano riconosciuto, è rimasto nella versione definitiva della legge.
È ben noto che la giurisprudenza sta comunque riconoscendo queste famiglie e i legami omogenitoriali, ma politicamente va ammesso il fallimento che questo compromesso rappresenta. Oltretutto, è anche da considerare il rischio che, lasciando la decisione ai giudici, la giurisprudenza possa anche cambiare orientamento, lasciando senza tutele i bambini di coppie omosessuali.
3. Ci sono poi altri aspetti che meritano una nota critica, come il mancato riferimento alla fedeltà.
Al di là del sapore retorico della nozione di fedeltà nell’ambito dello stesso matrimonio etero e del fatto che oggi non è più interpretata come esclusività sessuale, va riconosciuto che essa esprime, simbolicamente, l’esclusività spirituale del rapporto coniugale verso l’esterno (che dunque non tollera intromissioni da parte di terzi) e nei reciproci rapporti fra i coniugi. Se la fedeltà è un obbligo per le persone coniugate, così non è per coloro che sottoscrivono un’unione civile.
Anche in questo caso, la legge Cirinnà sottolinea che le unioni sono diverse dalla famiglia fondata sul matrimonio, meritevoli di riconoscimento, ma diverse.
Molti hanno sostenuto che la questione chiama in causa una revisione (forse imminente?) del diritto di famiglia, ma ad oggi, segna comunque una profonda disparità fra coppie sposate e unioni civili che, a livello simbolico, sono unioni di serie B.
4. Sembra che, sempre nel dibattito pubblico che plaude trionfalmente alla legge Cirinnà, sfugga la constatazione di un fatto, ossia che la sua approvazione è stata dovuta alla condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Oliari, senza cui, probabilmente, oggi non saremmo qui a celebrare questa legge.
La legge 76 dunque non è stata frutto di un armonico percorso di confronto fra le forze parlamentari, consapevoli della necessità di procedere ad un riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali e della volontà di superare l’arretratezza del contesto italiano. Si è trattato invece di un maldestro “correre ai ripari” per evitare i copiosi risarcimenti che Oliari ha imposto allo Stato Italiano verso le coppie same-sex per il mancato riconoscimento giuridico e dunque anche sociale.
5. Per una serie di ragioni tecniche e forse anche in ragione dei compromessi, della fretta, del bisogno di chiudere un testo e approvare finalmente una legge tanto attesa e oggetto dell’arena politica, il testo della Cirinnà appare veramente contraddire le regole sulla chiarezza e comprensibilità delle leggi. Chiunque abbia tentato di leggerla e non sia un giurista non potrà che condividere la critica sull’oscura formulazione e sulle astruse modalità con cui è scritta, che la rendono di difficile applicazione e comprensione.
Non resta ora che cercare di comprendere (se e) come i Comuni sapranno dare attuazione alle nuove regole e quali saranno i contenuti dei decreti attuativi attesi per l’autunno.
Approvata la legge sulle unioni civili, bisognerebbe avviare una nuova battaglia per il “matrimonio egualitario”, unico passaggio che potrebbe, realmente, eliminare le disparità fra coppie eterosessuali e coppie omosessuali. Oppure basterebbe solo riformulare una legge sulle unioni civili che ponga le coppie di sesso diverso e uguale sullo stesso piano giuridico, il matrimonio non ci appartiene.
Il timore, tuttavia, è che il dibattito venga invece arenato sul livello di tutela minimale che la legge Cirinnà ha riconosciuto, “accontentandosi” così di quanto il governo è stato disposto a “concedere”, senza troppo contravvenire le sensibilità del mondo cattolico.
Ora ci sentiamo dire continuamente che questa Cirinnà ha gettato le basi per fare altre battaglie e colmare tutti i vuoti, ma chi la dovrebbe fare? Un parlamento che a fatica ha approvato questo testo o un movimento GLBT che si è accontentato? Perché anche questo va detto, abbiamo ottenuto quello che ci meritiamo: una legge a metà e da qui non ci si muoverà molto facilmente.
Il mondo cattolico ha usato tutte le sue pedine, ha fatto in modo che venisse approvato un testo che scongiura la parificazione fra famiglie ed è riuscito a fare in modo che buona parte di gay, lesbiche e trans fossero per di più molto contenti del risultato.
La Cirinnà, il testo pubblicato sul sito della Gazzetta Ufficiale.
Il primo dei decreti, quello che viene chiamato decreto ponte.